creare relazioni
- Come può un allenatore creare relazioni con i suoi giocatori?
- Le relazioni sono universali o variano a seconda del contesto?
- Con quali strumenti?
condividere per costruire
Tutte le persone, durante il cammino della vita, cambiano più e più volte e questo è il risultato più visibile di ogni apprendimento.
Brofenbrenner (2001) sottolinea l’importanza dei vari microsistemi che ruotano intorno alle persone, conferendo una importanza rilevante alle relazioni e alle interazioni che si sviluppano nei contesti prossimi a noi.
Lo sport, per i nostri adolescenti, è un contesto rilevante, che occupa una buona parte della loro vita: per questa ragione è necessario intenderlo come un gioco di relazioni, dove l’atleta cresce sulla base di tutto ciò che avviene nel campo durante allenamenti e partite, oltre che nello spogliatoio e in tutti i momenti di socializzazione che emergono durante la sua esperienza nel club.
In quest’ottica, gli allenatori dovrebbero creare contesti per facilitare lo scambio di informazioni sulla base del proprio sistema di valori, delle necessità del gruppo-squadra e della filosofia di gioco che si desidera sviluppare.
Troppo spesso, però, più che creare relazioni, un senso di appartenenza e un senso del “noi”, gli allenatori tendono a sentirsi “padroni” della squadra, quasi fosse di loro proprietà.
Preme ricordare che allenare significa condividere informazioni, non esercitare un controllo su atleti di giovane età senza dargli la possibilità di esprimere quello che vivono durante il gioco. Queste considerazioni enfatizzano ancora di più il concetto di quanto sia necessario creare relazioni e ci porta a formularci queste domande alle quali cercare risposta.
instaurare relazioni
È importante considerare il perché è necessario instaurare relazioni, quali modalità possono essere utilizzate e gli strumenti da adottare a seconda dei diversi contesti che caratterizzano la pratica sportiva.
Se l’allenatore è chiamato a soddisfare le necessità dei giocatori, quest’ultimi devono mettere le proprie qualità al servizio del contesto.
Nonostante ciò, la responsabilità degli staff è maggiore nella costruzione di un clima dove le relazioni positive vivono in campo, e ciò dipende da una infinità di fattori, che Rhind e Jowett (2010) cercano di analizzare nel Modello Compass (dove C sta per Conflict management, O per Openness, M per Motivational, P per Preventatitive, A per Assurance, S per Support e l’altra S per Social Network).
Secondo gli autori, lo sforzo cosciente per mantenere e migliorare la relazione allenatore-giocatore deve essere tradotto in strategie concrete, utili a definire la qualità del rapporto.
Figura 1. Modello Compass di Rhind e Jowett (2010).
modello compass
La strategia gestione del conflitto si caratterizza attraverso comportamenti come la comunicazione delle aspettative reciproche, dove è necessario non imporre sempre le proprie idee ma cercare di creare una discussione, dove ascolto e confronto siano i protagonisti.
APERTURA
L’apertura è da intendersi come una attitudine ricettiva e aperta per poter comunicare su qualunque tema, inclusi aspetti legati alle emozioni che si stanno vivendo.
Questa strategia è fortemente desiderata dagli atleti, e per questa ragione è bene che gli allenatori imparino ad ascoltare.
In riferimento alla strategia motivazionale, è fondamentale che lo staff fornisca al giocatore elementi per misurare il suo impegno, attraverso dati e magari filmati che possano favorire feedback e confronto.
positività
La positività è la capacità dell’allenatore e dell’atleta di adattarsi alle necessità altrui, e dipende fortemente dalle competenze che l’allenatore manifesta durante la gestione delle sedute di allenamento e delle gare.
La critica costruttiva è, se ben utilizzata, una delle strategie più potenti, in quanto il giovane atleta vuole consigli reali su come poter migliorare, non commenti negativi o parole di adulazione.
Il sostegno si riferisce alla necessità di fornire sicurezza, appoggio sociale sia nel contesto sportivo che in quello personale. È un elemento tanto essenziale quanto ancora poco lavorato da molti allenatori di settore giovanile.
La creazione di una rete sociale tra allenatore e giocatori è una strategia che deriva dalla percezione di vicinanza.
Allenare significa aiutare gli atleti a migliorare e non sono le esercitazioni in sé a determinare la crescita del giocatore, ma le condizioni che vivono in esse: apprendere non significa ripetere, ma vivere in contesti che cambiano
(Seiru-lo e Lago Peñas, 2021).
Infatti, la semplice ripetizione di un esercizio non è sufficiente a determinare apprendimento, dato che la percezione e l’azione dei giocatori è dinamica e può comparire in diverse modalità.
Il gioco è un’alternanza di ordine e disordine e la variabilità ne è un elemento cardine: per questa e altre sopraelencate ragioni gli staff devono costruire contesti di apprendimento e sedute di allenamento che migliorino le relazioni interpersonali, l’interpretazione e la comprensione del gioco.
Il cervello è il muscolo più grande che ha un atleta, non tanto per le dimensioni, ma per le potenzialità riposte al suo interno, ed è anche, però, il muscolo più difficile da analizzare, e di conseguenza è il più difficile da allenare.
riflessione per creare relazioni
Al termine della seduta di allenamento, è bene dedicare un tempo stabilito alla riflessione, che permette di individuare una connessione tra ciò che è stato presentato e quello che si è manifestato: questo processo diviene uno strumento essenziale per verificare la consapevolezza degli atleti e per la pianificazione delle esercitazioni successive.
L’obiettivo è quello di sviluppare una conoscenza più elaborata analizzando le decisioni prese, che permette all’atleta di avvalersi di un maggior repertorio di possibilità d’azione a seconda delle diverse situazioni di gioco vissute.
Come sostengono Seiru-lo e Lago Peñas (2021), essere coscienti di quello che si sta cercando di fare (grazie alla chiarezza degli obiettivi), sapere quello su cui prestare attenzione (attraverso le parole chiave), qual è l’evoluzione (con correzioni e domande) e se è stato raggiunto l’obiettivo e cosa si può fare per migliorare (momento di riflessione finale) rende l’atleta consapevole del proprio apprendimento.
Conoscere gli atleti, capire cosa hanno nella testa, non è tempo sprecato, ma investito.
Bibliografia
Bronfenbrenner, U. (2001). The bioecological theory of human development. In N. Smelser y P. Baltes (Eds.), International enciclopedia of the social and behavioral sciences.
Rhind, D., Jowett, S. (2010). Relationship maintenance strategies in the coach-athlete relationship: the development of the COMPASS Model. Journal of Applied Sport Psychology, 22(1).
Seiru-lo, F., Lago Peñas, C. (2021). La dirección del entrenamiento y del partido en el fútbol y los deportes de equipo. Amazon Publishing.